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domenica 29 giugno 2008

Paolo Crepet, si stenda lui sul lettino

paolo crepetPenso abbiate letto di quella ragazzina che vendeva le foto di lei svestita per potersi vestire di abiti griffati.

Riporto da Repubblica di oggi, pag. 19, "Un commercio a quanto pare abbastanza fiorente, da consentire alla studentessa di comprarsi quei vestiti firmati che i genitori si rifiutavano di regalarle per ragioni educative prima ancora che per questioni di soldi". A fianco di questo articolo spunta il prezzemolo tritato Paolo Crepet che dice la sua "Il modello è la mamma che fa troppo shopping". Ora vorrei sapere da dove questo signore, che passa per psicologo nel circo Barnum dei talk show, ha desunto questo tranciante giudizio senza avere men che niente in mano. E perché il modello non è un'amica, o la mamma dell'amica, o la rivista di moda alla moda? Ma forse è di moda prendersela con le mamme e visto che questo Crepet è alla moda quant'altri mai che avrebbe dovuto dire?

Ma può anche darsi che il motivo di questa sparata gratuita sia più profondo. Che non abbia mai risolto il problema del rapporto con la sua di mamma? In tal caso, prima di far stendere gli altri sul lettino, sarebbe meglio, per il bene di tutti, che si stendesse lui.

Se fossi nei panni della mamma della ragazzina citerei senza indugio in giudizio il Crepet Paolo e come risarcimento danni chiederei il divieto per questo signore di parlare in pubblico per i prossimi venti anni.

Vestito estivo

È da un po' di giorni che la stagione è quella che dovrebbe essere, cioè calda, e non lamentatevi per favore, così metto una foto "estiva" nell'intestazione che avevo pronta nel cassetto. Si tratta di una cascata dove ho fatto non so quante volte il bagno, ne parlai qui (nella parte inferiore della pagina).

Mi ricordo, quando ero bambino, che mia madre, non a date precise ma in base all'andamento del caldo o del freddo, decideva che era il tempo che indossassi i pantaloni corti o lunghi. Quella novità sulle mie gambe mi elettrizzava e correvo fuori contento di non so che cosa.

Quando invece ero militare, il cambio della divisa, estiva o invernale, rappresentava in pieno l'imbecillità della burocrazia militare. Erano date precise, non importava se la stagione era avanti o indietro, e non importava nemmeno che al Brennero la temperatura fosse per forza diversa da quella di Trapani. Quel giorno tutti i soldati d'Italia dovevano attenersi a quell'ordine.

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sabato 28 giugno 2008

Francesco Petrarca

Chiare, fresche et dolci acque

Chiare, fresche et dolci acque,
ove le belle membra
pose colei che sola a me par donna;
gentil ramo ove piacque
(con sospir' mi rimembra)
a lei di fare al bel fiancho colonna;
herba et fior' che la gonna
leggiadra ricoverse
co l'angelico seno;
aere sacro, sereno,
ove Amor co' begli occhi il cor m'aperse:
date udïenza insieme
a le dolenti mie parole extreme.

S'egli è pur mio destino
e 'l cielo in ciò s'adopra,
ch'Amor quest'occhi lagrimando chiuda,
qualche gratia il meschino
corpo fra voi ricopra,
et torni l'alma al proprio albergo ignuda.
La morte fia men cruda
se questa spene porto
a quel dubbioso passo:
ché lo spirito lasso
non poria mai in piú riposato porto
né in piú tranquilla fossa
fuggir la carne travagliata et l'ossa.

Tempo verrà anchor forse
ch'a l'usato soggiorno
torni la fera bella et mansüeta,
et là 'v'ella mi scorse
nel benedetto giorno,
volga la vista disïosa et lieta,
cercandomi; et, o pietà!,
già terra in fra le pietre
vedendo, Amor l'inspiri
in guisa che sospiri
sí dolcemente che mercé m'impetre,
et faccia forza al cielo,
asciugandosi gli occhi col bel velo.

Da' be' rami scendea
(dolce ne la memoria)
una pioggia di fior' sovra 'l suo grembo;
et ella si sedea
humile in tanta gloria,
coverta già de l'amoroso nembo.
Qual fior cadea sul lembo,
qual su le treccie bionde,
ch'oro forbito et perle
eran quel dí a vederle;
qual si posava in terra, et qual su l'onde;
qual con un vago errore
girando parea dir: - Qui regna Amore. -

Quante volte diss'io
allor pien di spavento:
Costei per fermo nacque in paradiso.
Cosí carco d'oblio
il divin portamento
e 'l volto e le parole e 'l dolce riso
m'aveano, et sí diviso
da l'imagine vera,
ch'i' dicea sospirando:
Qui come venn'io, o quando?;
credendo d'esser in ciel, non là dov'era.
Da indi in qua mi piace
questa herba sí, ch'altrove non ò pace.

Se tu avessi ornamenti quant'ài voglia,
poresti arditamente
uscir del boscho, et gir in fra la gente.


Francesco Petrarca
Arezzo 1304
Arquà Petrarca 1374


venerdì 27 giugno 2008

Ecco le mie impronte ministro Maroni, le aggiunga a quelle dei bambini rom

impronte digitali
Egregio ministro Maroni,
l'avevate promesso in campagna elettorale di rendere più sicure le nostre città, e voi che siete uomini d'onore di parola non vi siete fatti attendere. Aspettiamo tutti con ansia il dispiegamento dei tremila militari armati di tutto punto che faranno la loro bella figura e gli italiani tireranno finalmente un bel respiro di sollievo. Ma il lavoro non è che cominciato. Adesso volete prendere le impronte digitali ai bambini rom perché, avrete ragionato, questi qui è meglio tenerli sotto controllo fin da piccoli, razza dannata. Lei lo sa quanto me e chissà quanti altri, anche tra gente che le ha dato il voto, che questi provvedimenti non spostano di una virgola il problema sicurezza così come voi l'avete dipinto alla nazione. Per quest'ultima decisione ci sarebbe da provare vergogna, ma si sa che questo sentimento non alberga negli animi dei ministri. Questa vergogna la provo io, e tanti che la pensano come me, per lei.

Sono in attesa delle reazioni dall'estero quando cominceranno a diffondersi sui giornali di tutto il mondo le immagini delle nostre città protette dall'esercito. Forse sarà più difficile scattare fotografie alle file dei bimbi rom nelle questure pronti a essere marchiati perché per proteggere la loro privacy, così dichiarerete, impedirete a fotografi e giornalisti l'accesso a quelle squallide stanze.

In solidarietà di questi piccoli mi automarchio e le offro le impronte digitali del pollice e dell'indice della mia mano destra. Le unisca a questo infame database che vuole costruire.


Sarebbe bello che altri blogger offrissero anche loro le impronte. Queste mie le ho fatte in un attimo, un tampone per timbri, un foglio, uno scanner. Al posto dello scanner basta una macchinetta digitale. Se lo fate avvisatemi che vi linko.

Aggiornamento
Hanno aderito
giosby
sdreng
figli del vento

Luther Blissett, che ringrazio, segnala in un commento una meritevole iniziativa. E' una petizione "contro la schedatura etnica dei Rom in Italia" partita dalla Francia, QUI.

giovedì 26 giugno 2008

Bocciolo di melograno

bocciolo di melograno

Sei anni fa piantai un melograno. Da allora che era un trenta centimetri è diventato un metro e mezzo. In questo periodo è vestito a festa, foglie di un verde che più verde non si può (purtroppo le foto non rendono loro merito), e poi boccioli che a raffica diventano fiori. Vedete i petali di questo arancione lussuoso racchiusi nel bocciolo. I frutti di questi albero, almeno secondo i miei gusti, sono più belli da guardare che buoni da mangiare. Per quanto riguarda questa pianta non sono né belli né buoni. Non ne mai fatto uno che è uno. Questo bocciolo ha un diametro di circa un centimetro e una lunghezza di un centimetro e mezzo

bocciolo di melograno

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lunedì 23 giugno 2008

I fuochi e l'acqua di San Giovanni



Ci sono usanze che si perdono e altre che resistono. Quando ero bambino passavo quasi tutta l'estate con i miei nonni in una campagna situata sulla cima di un'alta collina. Da una parte si vedeva il mare e dall'altra le montagne, un panorama a trecentosessanta gradi o quasi. E in questa giornata, la vigilia di San Giovanni, appena faceva buio cominciava lo spettacolo. A uno a uno venivano accesi fuochi in tutte le terre attorno. In alto, in basso, a monte, a valle. Anche nei paesi, ad ogni crocicchio. Una tradizione millenaria che è andata quasi persa. Resiste invece qui quest'uso di bagnare questa sera chiunque si trovi a tiro. E non ci sono santi che tengano. Chi si trova per la pubblica via dopo il tramonto state pur certi che non la farà franca. Io li ho bloccati per un pelo alzando un dito e facendo notare che il sole non era ancora tramontato. Mentre scrivo la doccia collettiva è in corso.  




acqua,san giovanni, isolabona, fuochi

domenica 22 giugno 2008

È tempo del "sciarmentu" e...

Ricevo da due amiche della Liguria le foto che vedete scattate in questi giorni. Nel frattempo anch'io sono arrivato in queste terre.

Da Pia

sciarmentu
Lavoro senza sosta in questo periodo nella vigna. Questo mese si asportano i sarmenti, sciarmenti, dalle piante di vite, quei polloni superflui che non produrranno uva e ombreggiano i grappoli. In primo piano Iris nella vigna di Danila che produce dell'ottimo Rossese biologico. In questi anni si è fatta avanti una generazione di donne vignaiole belle toste che stanno dando dei punti ai maschi. Brave.

...e anche della transumanza

Da Maria Giovanna
transumanza
Mentre si va al lavoro mi aspetto macchine, moto, motorini, tutt'al più bici, o persone a piedi.
Non me le aspettavo di certo, queste!
Stupenda emozione.

sabato 21 giugno 2008

Vittore Fossati e Giorgio Messori

Viaggio in un paesaggio terrestre

Oggi, contrariamente a ogni sabato, niente poesia. Giovedì pomeriggio sono stato al Castello Sforzesco di Milano per l'inaugurazione di una mostra fotografica (pdf). Le immagini fanno parte di un lavoro che Vittore Fossati, fotografo, e Giorgio Messori, scrittore, hanno fatto viaggiando assieme per esercitarsi a osservare il mondo che ci circonda. Il risultato è questo Viaggio in un paesaggio terrestre, che non è né un libro di fotografia, né un libro di viaggio, e nemmeno una mescolanza didascalica delle due cose, ma un progetto del tutto originale e per quanto ne so mai tentato prima. Ne riporto un brano.
Quando alcune scenografie naturali risvegliano un'immaginazione delle origini, allora accade che queste non si presentino sotto il segno del caos primordiale, bensì in quella forma di ordine e compiutezza che riconosciamo nei miti. Le origini sono dunque la perfezione, la totalità, poi viene il caos, il mondo frammentato, la “realtà”. E quando si parla di funzione mitopoietica dell'arte e della poesia, s'intende proprio il compito di dare ordine e compiutezza al mondo frammentato, a una realtà altrimenti caotica. Perciò non si tratta mai di “descrivere” la realtà o, come direbbe Vittore, fare “fotografie”; bisogna piuttosto rintracciare, nella realtà, quelle matrici simboliche che ci permettono di percepire una struttura compositiva della realtà stessa, cioè quasi un suo stato embrionale, originario.


Viaggio in un paesaggio terrestre
Viaggio in un paesaggio terrestre

giovedì 19 giugno 2008

Il lavoro è un castigo di Dio

evaNon sto qui a ricordare le dure battaglie operaie per la giornata lavorativa di otto ore prima e per la conquista della settimana corta poi. Prendo la questione da un altro punto di vista, quello biblico.

Ci fu un tempo in cui i nostri primordiali genitori se ne andavano in giro nudi senza fare un cazzo tutto il giorno. Se avevano fame allungavano una mano e coglievano un frutto della specie che desideravano. Niente carne, ma nessuno ne sentiva la mancanza. Poi accadde il fattaccio di Eva, della mela e del serpente. Da allora andiamo in giro vestiti e se vogliamo mangiare dobbiamo lavorare. Sì, lo so che c'è gente che non lavora e mangia più degli altri, ma teniamoli un attimo da parte. E dunque questo lavoro è la maledizione di un Dio arrabbiatissimo che ha fatto ricadere questa jella su tutto il genere umano fino alla fine del tempo.

Dicevamo delle otto ore conquistate a fatica dalla classe operaia. Che ti succede adesso? Succede che si torna indietro. Se il lavoratore lo vorrà, potrà lavorare più di 48 ore a settimana. Infatti i ministri del Lavoro Ue, riuniti in Lussemburgo, hanno raggiunto un accordo che permette una deroga al tetto delle 48 ore, che rimane comunque il limite massimo. Nel caso in cui il lavoratore decida di optare per l'allungamento dell'orario, non potrà comunque superare le 60 ore settimanali, o le 65 nel caso dei contratti di lavoro a chiamata.

Adesso capisco perché le radici cristiane non sono state citate nella costituzione della Comunità Europea. Visto che il lavoro è un castigo di Dio i legislatori sarebbero apparsi in questo caso come dei torturatori ad oltranza.

Se poi qualcuno tra di voi ha un lavoro che lo appassiona e non si accorge nemmeno che la giornata è finita forse vuol dire che è nato senza peccato originale.

mercoledì 18 giugno 2008

La Coca Cola ci ha rubato Bella Ciao



La notizia


ARRAKIS: un tributo a quanti hanno sofferto in nome del Progresso

Arrakis è un documentario poetico di Andrea Di Nardo, tributo ai luoghi e alle vittime del progresso industriale italiano. Qui.

Vedute di fabbriche abbandonate fanno da sfondo ad una voce trasformata dalla malattia.
E' la voce di Silvestro Capelli, un ex-operaio della storica Breda Fucine di Sesto San Giovanni.

È la particolare voce di un laringectomizzato.

Silvestro nel 1996 ha subito un intervento di laringectomia totale per estirpare un tumore causato dall'amianto inalato durante gli anni del lavoro in fabbrica.

Come molte altre persone da anni combatte una battaglia sociale e legale. Da una parte ci sono semplici cittadini, dall'altra ci sono le istituzioni, l'Inail, i sindacati, i dirigenti d'azienda, i partiti politici.

Racconta Silvestro in Arrakis: «Tutti sapevano e nessuno ha parlato. Lo sapevano i sindacati. Lo sapeva la direzione dell'azienda. Lo sapeva l'assessorato alla sanità. Lo sapevano tutti, e non gli operai che c'erano dentro. E così ci hanno condannato a morte, a menomazioni, ma non solamente noi che lavoravamo all'interno della fabbrica. Perché le fabbriche non sono state costruite sotto una campana di vetro [...]»

Motivi e obiettivi
Arrakis non vuole essere un'inchiesta sul problema amianto, non vuole essere un documentario di archeologia industriale.
Vuole rappresentare invece un tributo a quelle persone che hanno sofferto in nome del progresso e a quei luoghi che sono stati incredibili simboli di quello stesso progresso.

Arrakis è un attestato di esistenza per persone e luoghi dimenticati.
L'obiettivo comunicativo non è informare, ma emozionare.
Suscitare interesse verso problemi di cui molto scarsa è la percezione del pericolo.

Credo che l'abbinamento della voce di Silvestro ai luoghi dell'abbandono industriale italiano sia un atto molto potente e molto simbolico.

Andrea



Vai ad Arrakis »»

via Annarita

martedì 17 giugno 2008

Scajola blocca la class action

claudio scajolaLa Confindustria, un attimo dopo l'insediamento del governo, dichiarò gongolante che era in sua completa sintonia. Bugia. Era l'esecutivo che si trovava in sintonia con la Confindustria. Ragione di più per gongolare.

La politica non si giudica dalle sparate quotidiane del tale o tal altro trombone governativo ma dai fatti. Eccolo il fatto.

Emma Marcegaglia, presidente di Confindustria, ha chiesto il rinvio dell'entrata in vigore della class action, la causa collettiva che i cittadini possono intentare contro una società, e Claudio Scajola, ministro per lo sviluppo economico, non si è fatto pregare e ha subito dichiarato «la norma è per certi aspetti impraticabile e bisogna dunque rivederne alcuni aspetti». Chiarisca il ministro quali sono questi aspetti perché noi siamo maligni e pensiamo sempre male. Ma a pensar male ci spinge anche questa circostanza.

E' stata appena depositata presso il tribunale di Milano una causa civile di questo genere. Sono 4000 risparmiatori che chiedono il risarcimento alle banche e ai revisori coinvolti nel crac della Parmalat, e non sono bruscolini. Che l'ineffabile ministro pensi che questi 4000 siano tutti dei rompicoglioni che bloccano "lo sviluppo economico" di cui lui e la sua squadra sono i motori ruggenti?

Scattai la foto a Claudio Scajola in questa occasione.


lunedì 16 giugno 2008

L'apparenza e la sostanza

soldati italianiIn Italia abbiamo centomila poliziotti, altrettanti carabinieri e altrettanti finanzieri, non conto le guardie forestali. Questi trecentomila uomini e donne dovrebbero garantire sonni tranquilli ai cittadini. Ma ultimamente questi sonni si sono fatti agitati, sia per fattori oggettivi che non nego, sia molto di più per il gran can can della destra e anche della sinistra amplificato dagli organi di stampa scodinzolanti e conniventi.

Quindi il governo che aveva promesso in campagna elettorale un pacchetto (o pacco?) sicurezza ha deciso di sguinzagliare per le strade delle grandi città 2500 soldati. Parà della Folgore, granatieri di Sardegna, lagunari o alpini della Julia? Non si sa ancora ma si sa che avranno in dotazione tutta l'armatura del moderno guerriero.

Se si fanno i conti questi soldati aggiungeranno lo 0,80 per cento alle forze già esistenti. Una sceneggiata, dunque, ma seria e fin troppo seria sceneggiata. Perché quando degli uomini imbracciano dei fucili mitragliatori, si difendono con dei giubbotti antiproiettile e hanno come supporto dei mezzi corazzati la faccenda si fa preoccupante.

Dicono che queste divise infondano sicurezza nella popolazione. E allora prima il can can per diffondere paura poi un altro can can per farla passare, se ci riescono, e così si preparano le prove generali per farci credere che gli asini volano e guai a chi dubita o peggio ride.

C'è una cosa che mi inquieta e di cui nessuno ha ancora parlato. È escluso in maniera tassativa e puntuale che questi soldati possano essere adoperati anche in manifestazioni di piazza?

domenica 15 giugno 2008

E continua a piovere

 


Questa mattina non sono rimasto a guardare le gocce sui vetri e alle otto e mezzo in punto mi sono immerso in questa Milano ancora semiaddormentata e bagnata per catturare qualche immagine insolita. Ma questa volta non ti ho lasciato a casa. Com'è il tempo da voi?

sabato 14 giugno 2008

Aleksandr Sergeevič Puškin

Ricordo il meraviglioso istante

Ricordo il meraviglioso istante:
davanti a me apparisti tu,
come una visione fugace,
come il gesto della pura bellezza.

Nei tormenti di una tristezza disperata,
nelle agitazioni di una rumorosa vanità,
suonò per me a lungo la tenera voce,
e mi apparvero in sogno i cari tratti.

Passarono gli anni.
Il ribelle impeto delle tempeste
disperse i sogni di una volta,
e io dimenticai la tua tenera voce,
i tuoi tratti celestiali.

Nella mia remota e oscura reclusione
trascorrevano quietamente i miei giorni
senza deità, senza ispirazione,
senza lacrime, senza vita, senza amore.

Ma venne dell’animo il risveglio:
ed ecco di nuovo sei apparsa tu,
come una visione fugace,
come il genio della pura bellezza.

E il cuore batte nell’inebriamento,
e sono per esso risuscitati di nuovo
e la divinità e l’ispirazione,
e la vita, e le lacrime e l’amore.


Traduzione di Ettore Lo Gatto

Aleksandr Sergeevič Puškin
Mosca 1799
San Pietroburgo 1837


venerdì 13 giugno 2008

Libertà di stampa

vignetta

Questo Cronacaqui è un quotidiano che esce nelle edicole di Milano e dell'hinterland. Costa venti centesimi e alcuni edicolanti mi hanno detto che certi giorni va completamente esaurito. Della serie «È questo che la gente vuole» o che altro?

martedì 10 giugno 2008

Itinerari di letteratura, quarta edizione

fiori di ulivoLa Liguria dell'estremo Ponente d'Italia ha uno scrittore che non è molto conosciuto in tutto il Paese, Francesco Biamonti. Quello che ha scritto su queste terre di mare, di colline e di montagne travalica il territorio geografico per diventare un luogo dello spirito sempre in bilico sull'abisso della caducità della vita.

Ogni anno in questo periodo vengono organizzati questi "Itinerari di letteratura" il cui programma potete vedere sul sito.

Se volete leggere l'incipit dei suoi romanzi QUI.

Pubblico alcune citazioni scelte dal professor Francesco Improta. Se volete vederne altre QUI.

A mezzogiorno passato, il sole ebbe come un tremito, offuscato da vapori marini.

Nelle pause della brezza il silenzio si posava sul silenzio.

Era una luce che divorava i suoi stessi riflessi e lasciava le cose nette.

La sera sfiorava i tetti, entrava nei vicoli, girava nel cielo e rovesciava sugli ulivi una luce arcaica.

C'erano terre che volgevano le spalle al sole, sconfortate... terre in perpetuo desiderio.

Si getta sul mare uno sguardo che ha sempre qualcosa di perduto.

Si sentiva odore di lentisco e di assenzio e, a folate, il mare che smemorava.

I sogni erano al tramonto anche quello della ragione.



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domenica 8 giugno 2008

Boccioli e fiori di ulivo

fiori di ulivo

Questa mattina sono andato a vedere come stavano i miei ulivi. Sono alberi secolari che piantò il bisnonno di mio bisnonno e anche oltre e che mi piace pensare abbiano trattenuto nella loro linfa un po' del soffio vitale dei miei antenati.

È il periodo della fioritura ma sono arrivato un po' in anticipo. Nel momento massimo è uno spettacolo di migliaia, centinaia di migliaia, milioni di piccoli petali al vento che volano a nuvola per piovere poi sotto le piante, nelle fasce, nei sentieri, a formare un tappeto bianco avorio su cui si cammina come sull'ovatta. Sprazzo fugace di fervore vegetativo e appariscente di una pianta che è la quintessenza della lentezza.

Questo fiore (tre, quattro millimetri) in italiano si chiama mignola, nel mio dialetto påna, chissà in altri regioni d'Italia.

QUI un momento dell'abbacchiatura nella scorsa stagione.

fiori di ulivo

La påna necessita nella fioritura di tempo asciutto, caldo moderato, leggermente ventilato. Si dice che per avere una previsione della prossima raccolta di olive basta porla su una pietra levigata e premerla col pollice. Se rimarrà un'impronta umida significa che la resa d'olio sarà abbondante. Un segnale del buon andamento della fioritura è la leggera ma costante pioggia di fiori dagli alberi.


sabato 7 giugno 2008

Eugenio Montale

Piove

Piove. È uno stillicidio
senza tonfi
di motorette o strilli
di bambini.

Piove
da un ciclo che non ha
nuvole.
Piove
sul nulla che si fa
in queste ore di sciopero
generale.

Piove
sulla tua tomba
a San Felice
a Ema
e la terra non trema
perché non c'è terremoto
né guerra.

Piove
non sulla favola bella
di lontane stagioni,
ma sulla cartella
esattoriale,
piove sugli ossi di seppia,
e sulla greppia nazionale.

Piove
sulla Gazzetta Ufficiale
qui dal balcone aperto,
piove sul Parlamento,
piove su via Solferino,
piove senza che il vento
smuova le carte.

Piove
in assenza di Ermione
se Dio vuole,
piove perché l'assenza
è universale
e se la terra non trema
è perché Arcetri a lei
non l'ha ordinato.

Piove sui nuovi epistèmi
del primate a due piedi,
sull'uomo indiato, sul cielo,
ottimizzato, sul ceffo
dei teologi in tuta
o paludati,
piove sul progresso
della contestazione,
piove sui works in regress,
piove
sui cipressi malati
del cimitero, sgocciola
sulla pubblica opinione.


Eugenio Montale
Genova 1896
Milano 1981


venerdì 6 giugno 2008

E a Milano maturano le nespole

nespole a milano
Milano, via Padova 266

Poco fa ero nel laboratorio fotografico (ciao Ettore) dall'altra parte della strada, e mi ha sorpreso la visione di questo nespolo carico di frutti maturi. La mia memoria li associa sempre alle ciliegie, perché di questi due frutti era piena la cesta, u cavågnu, che si portava a casa dalla campagna in questa stagione. Vedere un albero del genere in un campo o nel giardino di una casa sarebbe del tutto normale, ai bordi di questa lunga via incasinatissima fa tutt'altro effetto.

E intanto sono passati sei mesi e più da quando a Milano fioriva il tarassaco.

nespole a milano

giovedì 5 giugno 2008

«Vanità, invidia e calunnie vizi capitali anche nella chiesa»

carlo maria martiniQuando uno arriva a una certa età e si è buttato ormai alle spalle la carriera dovrebbe essere più libero di parlare e dire quello che veramente pensa. Non è così per gli uomini di potere che avendo mentito per tutta la vita rimane loro il vizio anche a un passo dalla tomba. Ci sono le eccezioni e Carlo Maria Martini, cardinale, è una di queste. A dir la verità non le mandava a dire nemmeno quando era arcivescovo di Milano. Mi ricordo i visi ingrugniti dei dirigenti di Comunione e Liberazione, Roberto Formigoni in testa, a cui Martini negava pubblicamente qualunque favore per i loro numerosi affari, e mi ricordo anche i politici delusi da un prelato così poco, anzi per niente, propenso a mischiare le cose di Cesare con quelle di Dio. Riporto alcuni passi che il cardinale ha pronunciato commentando i brani della lettera di San Paolo ai Romani dove si parla del peccato durante gli esercizi spirituali a Galloro vicino ad Ariccia.

Tutti questi peccati, nessuno escluso, sono stati commessi nella storia del mondo, ma non solo. Da laici, ma anche da preti, da suore, da religiosi, da cardinali, da vescovi, e anche da papi. Tutti.

E poi c'è anche l'inganno che per me è anche fingere una religione che non c'è. Fare le cose come se si fosse perfettamente osservanti ma senza nessuna interiorità.

Il vizio clericale per eccellenza: l'invidia. Ci sono persone logorate dall'invidia che dicono "Che cosa ho fatto io di male perché il tale fosse nominato vescovo e io no".

Devo dirvi anche della calunnia: beate quelle diocesi dove non esistono lettere anonime. Quando io ero arcivescovo davo il mandato di distruggerle. Ma ci sono intere diocesi rovinate dalle lettere anonime, magari scritte da Roma.

Ci piace più l'applauso del fischio, l'accoglienza della resistenza. E potrei aggiungere che grande è la vanità della Chiesa. Grande. Si mostra negli abiti. Un tempo i cardinali avevano sei metri di coda di seta. Ma continuamente la chiesa si spoglia e si riveste di ornamenti inutili. Ha questa tendenza alla vanteria.

Anche nella Curia romana ciascuno vuole essere di più. Ne viene una certa inconscia censura nelle parole. Certe cose non si dicono perché si sa che bloccano la carriera. Questo è un male gravissimo della Chiesa, soprattutto in quella ordinata secondo gerarchie perché ci impedisce di dire la verità. Si cerca di dire ciò che piace ai superiori, si cerca di agire secondo quello che si immagina sia il loro desiderio.

Ci sono vescovi che non parlano perché sanno che non saranno promossi a sede maggiore. Alcuni che non parlano per non bloccare la propria candidatura al cardinalato.


Bel quadretto, pennello di cardinale.

via

mercoledì 4 giugno 2008

Pane e pasta. Ma è davvero in calo il consumo?

pasta

Ormai è una solfa che sento almeno un giorno sì e uno no. Diminuisce il consumo di pane e pasta. Stamani vedo riportato in prima pagina su Repubblica un titolo del Wall Street Journal «Italiani addio penne? I rincari degli alimenti penalizzano la dieta degli italiani». Segue un articolo della brava Licia Granello, che non conosco ma abbiamo un amico in comune e che saluto.

Ora qualcuno mi dovrebbe spiegare come mai diminuisce il consumo dei due cibi più a buon mercato che abbiamo. Saranno anche rincarati ma rimangono comunque quelli alla portata di tutti. Cosa vuol dire? Che c'è gente, qui da noi, che al posto di mangiare un etto di farfalline, sono quelle che piacciono a me, ne mangia solo ottanta grammi. E il pane? Se prima mangiava tre michette al giorno adesso ne mangia solo due perché non ci arriva più a comprarle? E quindi fa la fame? Dite la vostra perché la cosa non mi va proprio giù.

E visto che ci siamo avete delle preferenze particolari per un tipo di pane o di pasta? E per quest'ultima qual è il condimento che preferite?

La foto da qui.

martedì 3 giugno 2008

Vertice Fao a Roma

Fame in Biafra
Biafra 1969 - foto Peter Williams ©

Questa mattina si è aperto a Roma il vertice di «alto livello» della Fao, l'agenzia dell'Onu per l'alimentazione e l'agricoltura. Presenti un centinaio di delegazioni in rappresentanza di altrettanti Stati. Dibatteranno, dibatteranno e poi ancora dibatteranno sulla fame nel mondo e sui gravi problemi dell'agricoltura in vaste aree della Terra per lasciare alla fine le cose esattamente come prima.

Sorvolerò su questa elefantiaca organizzazione che ingoia buona parte del budget per pagare lauti stipendi ai suoi funzionari più i numerosi benefit di cui godono le loro famiglie. Dirò solo che non è in questo ambito che si possono risolvere, bisogna poi vedere se c'è la vera volontà di risolverli, questi gravissimi problemi che minano alla base l'esistenza di miliardi di uomini in ogni parte del pianeta.

Da quando fu scattata la foto che vedete sono passati quasi quarant'anni e da allora la situazione ha subito pochi cambiamenti, ma i motivi che la generano sono del tutto cambiati. Allora era la penuria di cibo, adesso invece ce n'è in abbondanza, bastante a sfamare tutta la specie umana ma bisogna comprarlo. E sul suo prezzo incide in maniera preponderante quello del petrolio da cui ormai l'agricoltura è totalmente dipendente. Pesticidi, concimi, carburante per le macchine agricole e per i trasporti. Da qui la speculazione che della fame nel mondo se ne strafotte. Faccio un esempio. Sul mercato c'è una grande partita di di mais da piazzare. Sfamerebbe molte persone, ma queste non hanno soldi. I soldi invece li hanno gli americani proprietari di SUV assetati di etanolo. Domanda retorica. Che fine farà questo mais?

E' solo un esempio, altri se ne potrebbero fare, che mette in evidenza come non sono queste ammucchiate di Roma che possono curare la piaga della fame, e non vedo all'orizzonte soluzioni praticabili dato che è il dio denaro che imperversa sempre più.

Intanto i gestori dei migliori ristoranti romani gongolano. Tutto esaurito per questi tre giorni. Capi delegazione, vicecapi, segretarie, portaborse, interpreti. Paga l'Onu.

Post dello stesso argomento su altri due blog, qui e qui.

lunedì 2 giugno 2008

Oggi anniversario della Repubblica

berlusconi

Speriamo che al tipo i capelli, anche se finti, gli tengano. Se non gli tengono può venirgli la forte tentazione di mettersi la cosa sulla testa e allora addio Repubblica.

domenica 1 giugno 2008

Domenica a Milano

giardino a milano
Per svariati motivi questo arcifinesettimana rimango a Milano. L'importante e sapersi vivere il proprio tempo. Stamattina ero su questa sedia sotto la palma nel giardino di casa (sotto un altro scorcio) a sfogliare libri d'arte, che è sempre un bel vedere e mi è anche venuta un'idea che utilizzerò domani in un post. Nel pomeriggio, assieme a un amico, volevo andare nella fantastica serra dei fratelli Ingegnoli. Ne avrei anche approfittato per comprare qualcosa perché è un periodo di saldi, ma abbiamo trovato il portone chiuso, questo portone di cui mai mi ero accorto. Ce la siamo presa con filosofia e ci siamo fatti un aperitivo in quella via scicchissima ma a me antipatica lì vicino. Oggi la città ha un altro volto che non è quello solito della domenica. Visi distesi se non sorridenti, atmosfera tranquilla che non ti sembra nemmeno vero. Come se la giostra vorticosa dei giorni feriali girasse in folle. In metropolitana addirittura una cosa impensabile nelle giornate di galoppo. Siamo arrivati che le porte del convoglio erano già chiuse. Non abbiamo detto né ah, né beh, non abbiamo fatto nessun gesto. Come d'incanto si sono riaperte e siamo potuti salire. Il mio grazie al macchinista ha rimbombato che se lo meritava proprio.

Si vive nella prigionia del tempo lavorativo e domani non è lunedì, ma di nuovo domenica. Grazie Repubblica, almeno questo.

giardino a milano

portone fratelli ingegnoli